Un capolavoro


Ogni tanto riprendo in mano il libro di Artusi di cui tutti dovrebbero averne almeno sentito parlare ovvero "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene".
Lo presi un giorno in libreria mentre aspettavo il treno, mi colpì subito la pagina di apertura che titola così: "La storia di un libro, che rassomiglia alla storia della Cenerentola."

Come tutti i libri di argomento culinario, sulla libreria si trovano nel piano più a portata di mano, pronti per essere consultati in caso di dubbi o perplessità, da rileggere anche quando si è in quarantena forzata, virus o meno.
Ogni volta però che sfoglio nuovamente quelle pagine, ne rimango sempre affascinato.
Sembra tutto fuorché un libro di ricette e chiamarlo tale non le rende la giusta importanza e il giusto valore.
Per intenderci, non solo è scritto in un italiano d'altri tempi, del tutto comprensibilissimo, ma descrive quello che dovresti fare in cucina con una semplicità spiazzante, il tutto contornato da aneddoti da far sembrare il libro un romanzo culinario.
Prendiamo ad esempio la ricetta:

43. - Riso alla cacciatora

Un negoziante di cavalli ed io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio, per que' tempi, di una fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato, dopo molte ore di una lunga corsa con un cavallo, il quale sotto le abilissime mani del mio compagno, divorava la via, giungemmo stanchi ed affamati alla Polesella. Com'è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve da cucina e da sala da pranzo: - Che c'è da mangiare? - domandò il mio amico all'ostessa. -Non ci ho nulla - rispose; poi pensandoci un poco soggiunse - Ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. - Fate i risi e fateli subito - si rispose - chè l'appetito non manca. - L'ostessa si mise all'opera e io li fermo ed attento a vedere come faceva a improvvisar questi risi.
Spezzettò un pollo escludendone la testa e le zampe, poi lo mise in padella quando un soffritto di lardone, aglio e prezzemolo aveva preso colore. Vi aggiunse di poi un pezzo di burro, lo condì con sale e pepe, e allorchè il pollo fu rosolato, lo versò in una pentola d'acqua a bollore, poi vi gettò il riso, e prima di levarlo dal fuoco gli diede sapore con un buon pugno di parmigiano. Bisognava vedere che immenso piatto di riso c'imbandì dinanzi; ma ne trovammo il fondo, poichè esso doveva servire da minestra, da principii e da companatico.
Ora, per ricamo dei risi dell'ostessa di Polesella, è bene il dire che invece del lardone, se non è squisito e di quello roseo, può servire la carnesecca (Pancetta di maiale salata) tritata fine, che il sugo di pomodoro o la conserva, non ci sta male e perchè il riso leghi bene col pollo non deve essere troppo cotto nè brodoso.

Un capolavoro.

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